Per la regia di Todd Philips, il 4 ottobre, nelle sale italiane è uscito Joker.
Il film, in breve, parla delle origini del villain per eccellenza del DC Comic Universe, nemesi indiscussa del supereroe Batman, interpretato per questa volta da Joaquin Phoenix. Ambientato in un tempo fittizio, ci da l’idea di essere negli anni 70 ma infondo nulla ci fa presagire che sia effettivamente così.
Vincitore del Leone d’Oro al Festival di Venezia e vincitore come Migliore Attore in un Film Drammatico e Miglior Colonna Sonora Originale ai Golden Globe, ora si ritrova candidato per ben 11 categorie agli Oscar 2020, tra le principal ricordiamo: miglior film, miglior regista, miglior attore, migliore fotografia, miglior colonna sonora.
Sulla trama non posso dire altro, per non incorrere in spoiler per chiunque non lo avesse ancora visto; per tale motivo questa recensione risulterà estremamente difficile, è un film da dover analizzare e sviscerare nella sua profondità. E’ di spessore, carico di emozioni e che deve essere visto a più livelli; un film d’autore che sfrutta la popolarità del Joker commerciale per arrivare al grande pubblico.
C’è chi dice che proprio tale manovra di marketing sia stata ben eseguita; infatti se il film, si fosse chiamato in un altro modo, non sarebbe cambiato nulla ai fini della trama: ma così milioni e milioni di persone sono accorse a vederlo, piuttosto che qualche migliaio.
Trovo che in parte sia vero, che effettivamente il film potrebbe funzionare anche senza sapere che il personaggio che stiamo guardano è il Joker eppure certe emozioni che si provano, vengono trasmesse perché tu sai chi hai di fronte e la sua trasformazione sul finale è potente, emotivamente carica.
Vediamo alla regia Todd Phillips che molti ricorderanno sicuramente per commedie più leggere come “Parto col Folle”.
E questo forse è una delle cose che dal punto di vista tecnico sorprende di più.
Avere un regista così, magari superficialmente giudicato mediocre, e poi vederlo esplodere in questo capolavoro è sicuramente un grandissimo colpo di scena.

Come accennato sulla trama, Todd Phillips ci trasporta in un mondo onirico, fittizio, nel quale non sappiamo effettivamente collocarci; forse perché espressione di quello che ci sta raccontando Arthur, che è il nome del Joker, protagonista indiscusso della pellicola.
Arthur è presente in tutto il film come punto di riferimento, noi vediamo ciò che Arthur vede, prova, sente e tutto quello che ci è dato sapere è solo frutto del suo punto di vista. Apparentemente sembra quasi tutto scollegato o almeno all’ inizio il film da l’idea di avere momenti su momenti che si susseguono senza un reale ordine, potrebbe dare l’idea di essere confusionario; ma a mano a mano che si procede si comprende che è Arthur stesso che racconta la sua vita, a spezzoni, confusa come la sua mente.
Chiari risultano quindi essere le ispirazioni registiche di Philips: ossia Martin Scorzese.
Questo modo di non renderti chiaro in che periodo ci troviamo, questa fotografia cupa nonostante i colori accesi degli abiti che esplodono nella loro potenza visiva solo sul finale, quasi accompagnando la violenza che in crescendo sale nel film. La pellicola infatti all’ inizio non è violenta anzi, è quieta tale da risultare agghiacciante, un sottile presagio di mutamento che lentamente cresce e cresce fino ad esplodere in una violenza efferata che rende questo Joker il più violento ed emotivamente sconvolgente che si è mai visto.
Sconvolge perché è un Joker estremamente reale, umanizzato.
Per tutto il film lo chiameremo Arthur, sarà una persona normalissima che piano piano si inabissa nella follia, fino a che non si lascerà andare perché stanco di combattere contro un mondo che non lo vuole.
Il problema delle malattie mentali
è che tutti si aspettano che ti comporti
come se non le avessi

Arthur per tutta la pellicola viene picchiato, umiliato, allontanato dalla società che lo vede diverso.
Cerca di integrarsi, cerca di sopprimere la sua diversità, prendendo farmaci che gli impediscono di salire le scale, che lo fanno sentire stanco della vita, porta con sè un cartellino per chiedere scusa del suo essere così diverso, chiede scusa delle sue risate incontrollate.
Risate che fanno accapponare la pelle perchè sono senza alcuna felicità; gli occhi tristi, che quasi lacrimano mentre fa sorrirsi incontrollati perché affetto da una malattia.
Il tutto accompagnato da una musica che segue i colori, sopra descritti, e la sua discesa nella follia, contrapposta alla crescita della sua violenza fino a divenire dirompente quando Arthur si perde del tutto.
E finalmente sale e scende quelle scale ballando, finalmente libero ed esplode la sua vera risata.
Cosa succede
quando una società malata
abbandona un malato mentale?
Succede che ti prendi quel cazzo che ti meriti
.

Il film non salva Arthur, non gli da la scusante del “Poverino ha fatto bene”. Il film fa solo vedere la prospettiva di Arthur: lui vede una società in cui i ricchi vivono nell’agio e nell’ozio mentre i poveri vengono abbandonati a se stessi e diventano per questo violenti, arrivisti, cattivi.
La società lo ha abbandonato quando lui ne aveva più bisogno e questo è un primo tassello che lo porterà a perdere il senno.

Subentra poi il caso Wayne, dove viene visto da Arthur come il cattivo della situazione perché lo deride come un Clown.
Ma Wayne in fondo è veramente cattivo o è solo frutto di come lo vede Arthur? Chi dice che lui sia effettivamente cattivo o solo figlio del suo stato sociale e del suo vedere un assassino con indosso una maschera da Clown per quello che è realmente: un pagliaccio?

E poi c’è la sua vicina di casa, vicina di casa che per la prima volta lo tratta con gentilezza e forse lui si perde, consciamente o meno, questo non ci è dato da sapere, in un mondo immaginifico dove lei è la ragazza dei suoi sogni e possono vivere una vita insieme.
Arthur è ingabbiato in una vita che non ama e spesso sogna di essere ciò che non è, che il mondo possa riuscire finalmente a vederlo per quello che è e a sorridere con lui.
Si illude.
E questo è il terzo tassello.

Arthur ha una madre, una madre che lo soffoca, lo stringe nella sua altrettanto rete di follia e lo inganna.
Quando scopre le sue menzogne (o forse non lo sono?), Arthur perde un altro tassello solido della sua vita.
E poi alla fine abbiamo Murray (Robert De Niro).

Non appare moltissimo nel film ma il suo personaggio è il fulcro di tutto.
Figura paterna nell’immaginario di Arthur, che non ne ha mai avuta una, diviene alla fine il capro espiatorio della sua follia, l’ultimo tassello che gli mancava per lasciarsi andare.
Si sente tradito, umiliato dall’unico idolo che aveva.
Questo a cosa porta a livello di narrativa?
Che ogni personaggio, nonostante abbia una propria personalità ben distinta, ha un’ esistenza fine alla creazione del Joker: legati a stretto filo con lui ed esistenti solo per lui.
Ed è uno strumento narrativo estremamente complesso, qui realizzato magistralmente.
Allora sorge un’ipotesi spontanea, che il regista sa ci porremmo tutti quanti.
E se tutto quello che abbiamo visto nel film fosse in realtà frutto di un racconto dello stesso Arthur?
Infondo spesso ha immaginato cose che non esistevano.
Infondo tutto il film è montato secondo il suo punto di vista, i personaggi agiscono e vengono percepiti secondo le sue impressioni.
E allora se così fosse potremmo ancora considerare questa storia come una delle tante origini del Joker, piuttosto che i discorsi vanagloriosi di un folle rinchiuso in un manicomio?
Direi comunque di si.
Perché nonostante sia estremamente realistico come personaggio, rappresentando un Serial Killer umano, un pazzo che ha raggiunto la sua massima espressione di follia, mantiene tutte le caratteristiche tipiche del Joker che tutti noi conosciamo:
- E’ completamente folle
- Gli atti malvagi, alla fine del film, verranno mossi sempre da uno spirito goliardico, come se fosse uno scherzo di buon gusto, una battuta
- Non si interessa di tuttto quello che gli accade intorno, non gli importa nulla della rivolta che è riuscito a scatenare, del tanto amato caos del Joker di Heath Ledger, ma si bea di ciò che è riuscito a fare.
- Inneggia ad un cambiamento della società perché sbagliata, corrotta. Non è lui ad essere folle, pazzo ma lo è la società.

Ed ecco allora che balza subito all’occhio, il lavoro di studio fatto da Todd Phillips sui precedenti Joker.
Nonostante lui dichiari “E’ una storia su come un uomo può divenire Joker” e ancora, Phoenix dica “Non ho fatto riferimento a precedenti interpretazioni del personaggio. Era come se fosse una nostra creazione ”, questo Joker richiama molto spesso ai suoi celebri fratelli, gliene fa un omaggio seppur non li copi.
C’è il tema della Brutta Giornata della graphic novel di Alan Moore: The killing joke.
Il concetto c’è e si amplifica fino a divenire non più solo una brutta giornata ma una brutta settimana, mese, vita.
Ho sempre pensato alla mia vita come ad una tragedia,
adesso vedo che è una commedia
Ancora, c’è una grande citazione a Cesar Romero, nel momento in cui Arthur abbraccia la follia quando capisce di non riuscire più a vivere nella realtà che lo circonda.
E poi il collegamento ovvio e che notiamo subito con il Joker di Heath Ledger.
Di fatto in un’intervista rilasciata prima dell’uscita del film, Joaquin Phoenix dichiarava “Il Joker di Heath è inaccessibile a tutti. Onorerò la sua memoria. Sul set, era come se fosse accanto a me”, ricordandolo come un grande amico.
In alcune parti, soprattutto finali, è preponderante un’ispirazione al suo Joker, in alcune movenze o inclinazioni della voce; la presa della telecamera per annunciare la sua presenza al resto del mondo: stesso modus operandi del Joker del Cavaliere Oscuro.
Ora sono paragonabili?
Assolutamente no.
Il Joker i Heath era ancora legato al mondo fumettistico, nonostante il grande realismo portato da Nolan; qui però noi abbiamo un Arthur profondamente umano, che nella sua follia ci fa immergere in un nostro possibile futuro.
E se tutto questo fosse capitato a noi?
Una follia umana, una follia vicina a noi che intimorisce e ti fa uscire dalla sala con un profondo senso di angoscia.
Non è un Cinecomic, è ben lontano da questo tipo di film.
E allora alla fine di tutto questo cosa ci lascia?
Un’ immagine che forse rimarrà iconica nella storia, sicuramente lo sarà nella mia mente: un Arthur finalmente libero e pieno di sangue, che porta le dita alla bocca e si traccia un sorriso, forse l’unico fatto realmente col cuore in tutta la sua vita.
In conclusione, posso dire con assoluta certezza, che questo film entrerà di direttissima nella mia personalissima lista dei più bei film mai visti.
